Fabbricare Fiducia_Architettura #12 | Enter – Rimappare il futuro per riabitare il pianeta | Cecilia Anselmi
Come immagini il mondo dell’architettura dopo l’attuale crisi virale?
“Exit, mapping the future” era il titolo di un’installazione su progetto di Diller Scofidio + Renfro realizzata nel 2015 al Palais de Tokio e ispirata a un’idea di Paul Virilio, il filosofo e urbanista francese che negli anni 90 aveva avuto l’intuizione di rinnovare la sinottica delle mappe dei territori per favorire la lettura di nuove geografie attraverso diagrammi delle distanze che venivano contratte o dilatate in base alle velocità dei flussi di attraversamento. Lo scopo dell’opera in mostra era restituire una fotografia di come sia evoluta la nostra società negli ultimi anni e portare lo spettatore ad una riflessione sulle nozioni di radicamento e sradicamento e sulle questioni di identità. Le mappe riportate sui grandi schermi a led visualizzavano una serie di dati relativi a spostamenti della popolazione, rifugiati politici e migrazione forzata, disastri naturali, mari nascenti, città che affondano, deforestazione. Impressionante pensare che forse da ora in poi molto di questo sarà un capitolo della nostra storia in parte concluso. Quando il trauma che stiamo vivendo, il più grosso che il pianeta si trova a dover fronteggiare dalla fine del secondo conflitto mondiale in poi sarà superato, si dovrà invertire la rotta e cominciare a scrivere una nuova storia. Le geografie di flussi a rete centrifughi e sovrapposti, torneranno ad assetti centripeti e maggiormente statici riportandoci, per quanto concerne gli spostamenti fisici, ad un’organizzazione della società degli uomini di ritorno più vicina a quella di altri epoche della storia. La dimensione nomadica e schizoide a cui eravamo ormai assuefatti fino a qualche settimana fa e che abbiamo dovuto arrestare bruscamente, probabilmente anche a conclusione dei lockdown, verrà ridotta a favore di una maggiore stanzialità, a nuove regole di convivenza e relazionalità che ci porterà inevitabilmente a rivalutare e ripensare radicalmente gli spazi dell’abitare dentro cui avremo per forza di cose delle dinamiche di spostamento più limitate. Se prima trovavamo la casa ovunque, sarà sempre più all’interno della casa che troveremo l’altrove. L’uso massivo e pervasivo di device e media già da tempo ha introdotto all’interno degli spazi domestici, ma anche nell’interazione tra corpo e extracorporale, tangibile e intangibile, l’evidenza di un superamento delle convenzionali opposizioni tra apertura e chiusura, vicino e lontano, interno e esterno. Ed è quello a cui ci stiamo aggrappando disperatamente ora, lo spazio vitale reale limitato ma anche “aumentato” dentro cui si articolano le nostre vite fatte di corpi ma soprattutto di relazioni di cui si alimentano tutte le attività che svolgiamo dalla formazione, al lavoro, ai rapporti umani, al consumo. La condizione di costrizione che ci impone l’emergenza che stiamo vivendo ci riporta ad una dimensione domestica del “riparo”, alla necessità di un raccoglimento protettivo, alla definizione di un necessario ritorno al dentro, al riposizionarsi attorno al vuoto del claustrum. Il ritornare, da una condizione nomadica, ad una eremitica in cui le peregrinazioni saranno sempre più virtuali che reali e la stanzialità, ci costringerà sempre più ad una relazionalità digitale. Ma questo “ricollocarci all’interno” implicherà sempre e comunque il dover risolvere il rapporto tra lo spazio interno, chi lo abita, e il mondo esterno, se questo ci potrà essere di consolazione. Ciò potrà avvenire come da secoli in maniera fisica, considerando il corpo della casa introverso, dislocato attorno ad un vuoto o affacciato all’esterno attraverso le sue aperture, le finestre, le logge i balconi, le corti, le terrazze, oppure potrà avvenire in senso virtuale o digitale se si considerano le infinite potenzialità di apertura consentite dall’uso della rete, dei media e delle nuove tecnologie. La casa può essere oggi un dispositivo altamente performante che tiene conto, nell’essere definita, dell’uso di variabili come le innovazioni tecnologiche, le nuove abitudini, le emergenze ambientali, le relazioni di prossimità, la capacità di efficienza energetica, la sostenibilità ambientale, nuove modalità di consumo, produzione e approvvigionamento degli stessi beni di consumo. La casa del futuro sarà sempre più interfaccia congegnato ad uso dell’utente, un dispositivo interattivo e interagente tra chi la abita e lo spazio esterno, la rete, l’ambiente, la meteorologia, l’atmosfera, l’inquinamento. Oggi, nell’epoca del post-tutto, il dramma che stiamo vivendo ci spinge ad individuare scenari dello spazio abitativo inconsueti, dentro una nozione antichissima archetipica della casa, compiendo un’azione opposta e contraria a quella cui eravamo tanto abituati, per un ritorno all’interno. E il design avrà la sfida non facile di dover trovare la capacità di rispondere efficacemente a questa chiamata. “I am always going home, always going to my father house”, è frase, o meglio un concetto tradotto in frase, del filosofo tedesco Novalis, citato in un dialogo della sceneggiatura di Youth, il film di Paolo Sorrentino, che fa riferimento al Nòstos, il ritorno a casa, il principio della vita come eterno ritorno. Dopo tanto peregrinare, al termine di questo dramma che travolge le nostre vite oggi, quando la clausura forzata sarà terminata, la metafora della “ritrovata casa dell’infanzia” avrà significato per noi di un nuovo modo di abitare e concepire gli spazi, e di un atto creativo che va rinnovato approcciando ad esso nell’entusiasmo che è tipico della giovinezza, delle nuove generazioni. E la “casa paterna” è, e rimarrà sempre, il tempio dei maestri con i quali si è comunque inesorabilmente costretti al confronto. Anche quando pensiamo di essere al massimo della nostra tensione creativa. Anche dopo che crediamo di averli uccisi.
Cecilia Anselmi. Architetto, PhD in Composizione Architettonica e Progettazione Urbana, professore a contratto e coordinatore didattico presso Quasar Institute of Advanced Design di Roma, dove è stata direttore didattico dal 2015 al 2017, dove insegna Progettazione di interni e giardini, Metodologie della progettazione dal 2009 e coordina il laboratorio tesi del triennale accademico in Habitat Design. Ha svolto in precedenza attività didattica anche presso altre università italiane, tra cui la facoltà di architettura di Pescara e il polo di Piacenza del Politecnico di Milano. Dal 2001 al 2015 è stata titolare dello studio c.a.c.p. (Cecilia Anselmi e Carlo Prati architetti) i cui progetti sono stati oggetto di pubblicazioni, mostre, premi e menzioni in concorsi nazionali e internazionali. Scrive e collabora da anni con riviste e web magazine del settore; ha curato ed è autrice di articoli e diverse pubblicazioni. Per l’Industria delle Costruzioni, un numero interamente dedicato all’architettura Contemporanea in Cile e 3 numeri monografici dedicati al tema del “costruire nel costruito” e all’architettura degli “Innesti, Estensioni e Sovrapposizioni”. E’ autrice del libro su queste stesse tematiche dal titolo “Upgrade Architecture” (Edilstampa) e curatrice di diverse pubblicazioni sull’attività didattica svolta in questi ultimi anni. A Settembre 2015 inizia una ricerca parallela e indipendente che ibrida critica e grafica attraverso l’elaborazione di collage digitali, la Serie della Linea Rossa, i cui elaborati vengono esposti per la prima volta a Marzo 2018 nella mostra Concetto Lineare presso dMake Art Gallery di Roma.
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Title: Fabbricare Fiducia_Architettura #12 | Enter – Rimappare il futuro per riabitare il pianeta | Cecilia Anselmi
Time: 4 aprile 2020
Category: Article
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