Fabbricare Fiducia_Architettura #30 | Gli architetti umanisti | Teresa Ciambellini

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Come immagini il mondo dell’architettura dopo l’attuale crisi virale?

Chi ha la fortuna di poter lavorare da casa e la fortuna ancora più grande di non aver familiari coinvolti in questa brutta emergenza, avrà avuto il tempo di mettere a fuoco quanti nuovi elementi della nostra professione siano emersi in questo strano periodo.

Il primo fra tutti, il fatto di non aver più bisogno di un unico posto fisico in cui lavorare, possiamo comunicare con il nostro gruppo a distanza e abbiamo a disposizione strumenti tecnologici sofisticati che ci permettono di farlo al meglio. Lo so non è una novità, i grandi studi con uffici sparsi per il mondo lo fanno da tempo – conference calls, sharing screens – ma per noi piccoli architetti di provincia si è aperto un mondo. Ed è indubbio che forzati a casa siamo stati costretti a trovare nuove soluzioni, a guardarci intorno, a confrontarci con il mondo. Una connessione veloce ed un pc ci permettono non solo di non perdere il ritmo abituale ma anche di avere accesso a molte più opportunità, progetti e concorsi da poter fare con team non solo multidisciplinari ma provenienti da tutte le parti del mondo.

È ovvio che il nostro lavoro non può essere fatto esclusivamente da remoto, è necessario seguire i cantieri e ancora prima visitare i luoghi in cui si sta cominciando ad immaginare un cambiamento ed è forse la parte più interessante e stimolante del lavoro. Serve però la consapevolezza che stiamo attraversando un cambiamento e dobbiamo renderlo familiare, dobbiamo accettare il progressivo smaterializzarsi del luogo di lavoro tradizionale e accettare la sfida di rivedere i criteri per la progettazione degli ambienti di lavoro, che nel futuro includeranno sempre di più un mix di funzioni. Anche i nostri appartamenti saranno coinvolti nel cambiamento, la progettazione degli ambienti residenziali dovrà prevedere sempre di più flessibilità di aggiungere postazioni di lavoro confortevoli.

Il fatto di poter passare più tempo a casa apre una serie di scenari interessanti, quello, per esempio, di trovare un equilibrio migliore tra le ore spese al lavoro e quelle dedicate alla famiglia o ad altri interessi personali. Proprio in questo momento sospeso, mi sono resa conto di quanto sia importante avere dei momenti di vuoto che facilitano i pensieri e le riflessioni sui propri desideri ed aspirazioni. E non basta lo yoga, serve proprio un tempo più lasco che non può essere relegato ai giorni del fine settimana. Questo non vuol dire perdere tempo ma ascoltare ed assecondare un po’ di più i propri ritmi. D’accordo che per fare questo bisogna essere molto disciplinati, altrimenti si rischia di alternare 5 minuti di lavoro con l’attacco di duemila lavatrici!

Un altro aspetto che mi ha molto colpito durante questa emergenza è quello di aver visto le immagini delle città deserte, Roma, per esempio, di una bellezza incredibile anche se spettrale. Ho letto che le emissioni di gas nocivi prodotte da automobili, impianti industriali e centrali elettriche sono notevolmente diminuite e ho visto immagini di animali selvatici rientrare furtivi nelle città vuote. Questa sembra un’occasione per ripensare ad esempio ai modi in cui ci spostiamo e a quanto ci spostiamo. Negli ultimi anni si stanno sviluppando nuove strategie di mobilità collettive e più sensibili all’ambiente, noi architetti dovremmo ripartire da qui per proporre progetti in cui si moltiplichino le reti di piste ciclabili, si intervenga sull’offerta e la qualità del trasporto pubblico, si cerchino tutti i modi che abbiamo a disposizione per scoraggiare l’uso dell’auto privata.

Una nuova consapevolezza stimolata da questo momento di crisi è stata la gran voglia di essere solidali e di condividere il più possibile. Non credo che potrò scordarmi facilmente di tutte quelle persone affacciate ai balconi di un quartiere di Napoli mentre cantavano “Abbracciame” o di quel jazzista che ha suonato “O mia bela Madunina” dalla finestra su un cortile Milanese. Abbiamo tutti bisogno di spazi semi privati che ci permettano di avere momenti di condivisione con i vicini o anche solo con i passanti. La sfida che dobbiamo affrontare è quella di tornare a progettare spazi per la collettività, far sparire i quartieri dormitorio in cui non esistono vicini ma solo persone che ti vivono accanto. Rifarci a quella geniale sociologa che è stata Jane Jacobs e riportare nella progettazione l’Umanesimo. Capisco adesso quanto sia importate vivere in un piccolo borgo perché a piedi posso raggiungere il micro negozio di alimentari dove trovare le cose che mi servono. Proprio grazie alle conseguenze di questa crisi, diventa ancora più evidente l’importanza dell’uso misto degli spazi. I quartieri delle città dovrebbero essere brulicanti di vita, non di smog, i più piccoli dovrebbero potersi muovere a piedi, e giocare a pallone nei giardini pubblici, che dovrebbero essere vicinissimi alle loro case, gli adulti dovrebbero poter andare a lavoro in bicicletta, lungo piste ciclabili, non dietro ad un bus. Il nostro sistema economico ha bisogno di riallacciare un rapporto equilibrato con la natura, non possiamo negare che questo virus ci ha messo davanti ad una triste emergenza.

Tutte le volte che sento quella frase ritrita di quanto sia necessario trasformare “la tragedia in opportunità” storco la bocca ma a guardare meglio in quella frase c’è del vero e assomiglia molto alla spinta che ci dà il nostro spirito di sopravvivenza. Spesso l’ottimismo viene visto come un atteggiamento da ingenui, in realtà è l’unico spirito che ci fa andare avanti e accatastare speranze per quello che potrebbe essere migliore, non solo per noi architetti, ma per tutti.

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Teresa Ciambellini è nata a San Giovanni Valdarno (AR) dopo aver vissuto i primi 14 anni della sua vita tra la Genova e la provincia di Bergamo, ritorna in Valdarno per completare il liceo. Si laurea in architettura a Firenze con una tesi sul paesaggio. Nel 2008 si trasferisce a Londra dove lavora come Urban Designer presso una società di consulenza internazionale che si occupa di pianificazione urbana e architettura. Nel 2009 frequenta un master in pianificazione internazionale presso la Westminster University di Londra e conclude il suo percorso di studi con una tesi sul progetto “Borghi Attivi”, un progetto per la ricostruzione post -sisma di 5 paesi del Cratere Sismico nella provincia dell’Aquila. Obiettivo primario della tesi è stato quello di dimostrare la necessità di coinvolgere le comunità nei processi di ricostruzione post-disaster per rendere i risultati nel medio e lungo periodo  più efficaci e rispondenti alle necessità reali della popolazione. In questo momento vive a Fontecchio (AQ) dove ha collaborato al progetto Borghi Attivi, terminato nel 2012. Nel 2011 ha iniziato una lunga collaborazione con lo studio Terrae Mutatae che si è occupato di pratiche per la ricostruzione del centro cittadino e delle frazioni. Oggi è architetto associato di SICStudio (www.sicstudio.it) nato dal gruppo più giovane dello studio Terra Mutatae che si occupa di ricostruzione e non solo.

 

 

 

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Title: Fabbricare Fiducia_Architettura #30 | Gli architetti umanisti | Teresa Ciambellini

Time: 13 aprile 2020
Category: Article
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