Fabbricare Fiducia_Architettura #63 | La socialità del dopo | Giuseppe Avenia
Come immagini il mondo dell’architettura dopo l’attuale crisi virale?
Immaginare uno scenario di un “dopo” privo di tempo e spazio, e quindi di un “dove”, è fondamentalmente un gioco tra immaginazione e speranza; una voce tra ciò che potrebbe essere e ciò che vorremmo fosse. Ma l’architettura non si nutre solo di “dove”, si nutre soprattutto di “chi”; abitanti, socialità e cultura saranno sempre, indipendentemente da tempi, luoghi e strumenti, il principale alimento dell’architettura in cui credo. E quindi mi chiedo: chi saranno gli abitanti di questo dopo così temuto e sperato? Parto dalla considerazione che durante questa quarantena, chiunque, architetti e non, abbia cambiato radicalmente, in modo più o meno consapevole, la percezione dello spazio circostante, qualunque esso sia; ogni scorcio della propria casa, un oggetto dimenticato o mai notato, ogni movimento e dinamica del vivere il proprio spazio, continua a mostrare sempre più sfumature e particolari; come una foto di cui si aumenta gradualmente la saturazione fino a bruciarla. Ci sarà un momento di questo dopo (e che verosimilmente arriverà solo con il vaccino) in cui questa nuova e sovra-satura percezione sociale si riverserà su ogni centimetro delle nostre città, insieme ad una repressa, esplosiva e ritrovata urgenza di stare insieme, assetata di se stessa come mai dall’ultimo dopoguerra. La socialità non sarà più la stessa per il semplice motivo che non sarà più scontata, così come i suoi luoghi non saranno più qualcosa di inevitabilmente presente o passivamente assente. Immagino quindi una nuova socialità, iperattiva e smarrita, cercare di riappropriarsi formalmente ed informalmente, della propria fisicità e quindi dei suoi spazi attraverso l’architettura; ma come? Mi vengono in mente le parole del cantautore Claudio Lolli, che in una “premonitrice” intervista del 2002 disse: “Come siamo dentro casa dobbiamo essere fuori; ricostruire questa organicità dentro-fuori, così si fa la socialità; così si organizzano le parole disordinate.” L’architettura sarà sempre il filtro fondamentalmente di questa organicità dentro-fuori; quel silenzioso dialogo tra abitanti e luoghi che suggerisce la reciproca ed incessante ridefinizione dei modi di vivere la socialità. L’architettura, volente o nolente, definisce sempre una cultura, e viceversa. Creano cultura i luoghi vitali e pieni di dialogo, di partecipazione e sperimentazione; Luoghi creati con e per una socialità sempre più attiva e consapevole; La cultura della vitalità. E così anche gli spazi vuoti e dimenticati delle nostre città, ed in particolare dei nostri paesi, contribuiscono a definire un perseverante atteggiamento disfunzionale ed indolente; La cultura della passività e quindi dell’abbandono. Credo quindi che la priorità dell’architettura del dopo sia fondamentalmente la stessa dell’architettura del prima: combattere la cultura dell’abbandono promuovendo una riappropriazione sostenibile e consapevole di quegli spazi urbani vuoti già da prima del virus; riappropriazione guidata da una socialità più consapevole del valore della propria fisicità e della necessità di luoghi dove prendersene cura. Un’architettura che, prima delle forme, promuova contenuti e strumenti con cui ogni individuo possa coltivare realmente il suo inscindibile essere cultura in modo individuale, collettivo e produttivo. Un’architettura che attraverso la partecipazione possa responsabilizzare il più possibile gli abitanti contaminandosi con i loro pensieri ed i loro gesti ed instillando la matrice di quella bellezza che più che appagarci, ci interpella, colmando la distanza tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere. Senza una socialità capace di interrogarsi consapevolmente, ogni progetto, per quanto sostenibile e perfetto, sarà sempre e solo per pochi, troppo pochi per costruire quel mondo giusto a cui tutti ambiamo.
Mi chiamo Giuseppe Avenia, sono un architetto siciliano ed aspirante pianificatore socio-urbano ed insegnante d’arte presso scuole medie e superiori. Dopo aver conseguito la laurea magistrale in Architettura Sostenibile presso il Politecnico di Milano ed alcune esperienze personali tra Londra, Berlino ed Olanda, ho iniziato a collaborare con “Studio Placemakers”, una realtà olandese che dal 2014 opera in Senegal investigando pratiche di placemaking e d’architettura partecipata, con un focus specifico sugli spazi pubblici e sul loro processo di (ri)appropriazione da parte degli abitanti-costruttori. In parallelo al lavoro in Senegal e ad altre collaborazioni legate all’architettura ed alla grafica, ho iniziato a studiare per diventare insegnante ed un anno fa sono tornato stabilmente in Sicilia con l’intenzione di portare, continuandole a coltivare, le mie esperienze e le mie passioni nel luogo in cui credo e che amo di più al mondo.
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Title: Fabbricare Fiducia_Architettura #63 | La socialità del dopo | Giuseppe Avenia
Time: 21 aprile 2020
Category: Article
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